
Il narcisismo si ispira al mito greco di Narciso: un giovane, che trascorreva il proprio tempo a contemplare su un riflesso d'acqua la propria immagine. Quanto sono bello, ripeteva ammirandosi, incapace di staccarsi da ciò che l'acqua rifletteva. Il primo a parlare di narcisismo sotto una chiave patologica fu Freud, inquadrando profili di personalità contraddistinti da un amore incondizionato verso se stessi. Una auto-ammirazione eccessiva, che non lascia spazio ad una sana ed equilibrata relazione con gli altri. Narciso, nel contemplarsi, finì annegato.
Ora, immaginiamo che il nostro Narciso entri in una azienda.
Ci troveremo dinanzi ad un manager caratterialmente instabile, se non addirittura patologico. E psicopatologie manageriali vanno di pari passo alle nevrosi organizzative a cui stiamo assistendo, laddove inevitabilmente queste figure incidono pesantemente sul funzionale andamento dell'organizzazione.
La leadership narcisistica è tanto tossica, distruttiva, quanto complessa da individuare se non da professionisti esperti in materia clinica e psicologico-organizzativa.
Gioca un ruolo importante il potere di posizione che il soggetto patologico assume: usato come un bastone, pronto a bloccare, distruggere e reinventare tutto ciò che di buono si era creato nel team di lavoro, che per quanto funzionante e funzionale, non potrà mai controbilanciare la forza distruttiva della leadership narcisistica.
Vediamone meglio i tratti. Chi è il leader narcisista?
E' quella persona che ha bisogno, e pretende, di essere ammirata, amata, benvoluta da tutti, manifestando esibizionismo, desiderio di essere al centro, intolleranza alle critiche, e la tipica tendenza a dividere il mondo in bianco e nero, in buoni e cattivi.
Individua i suoi subordinati in perfetti adepti, servi, ammiratori, adulanti che hanno lo scopo di proteggerlo. Divide et impera, recita una locuzione latina: il leader ben presto individua i soggetti avversi, costruiti ad hoc per per mantenere il mondo diviso.
In queste dinamiche, quasi sempre finiscono nel girone dell'inferno i soggetti meno inclini all'adulazione: i lavoratori e lavoratrici migliori, ben adattati e inseriti nell'ambiente organizzativo, bersaglio in quanto tali di svalutazione e odio, a beneficio dei supporter, strumentalmente messi in ruoli chiave.
Catalogandone le caratteristiche salienti, possiamo identificare nel leader narcisista una persona:
- fortemente autocentrata
- autoreferente
- sopravvalutante di sè
- sprezzante
- ostile
- invidiosa degli altri
Prova particolare disprezzo per coloro che non gli si assoggettano o intendono mantenere la propria autonomia e indipendenza, con mancanza di interesse reale ed empatia verso l'altro, conoscendone solo una relazione strumentale, finalizzata ad alimentare il proprio ego, abbandonandoli all'attacco psicologico e morale dei propri sostenitori.
Il leader narcisista vive in uno stato di allerta continua, pronto a carpire ogni minimo segnale che possa mettere in crisi il proprio sistema di sopravvivenza, con azioni di controllo continuo, e messa alla prova dei propri adepti per verificarne costantemente il grado di fedeltà.
Perchè persone così finiscono nei ruoli di vertice in azienda?
Le loro forti spinte motivazionali al potere, al prestigio, unite al fascino che hanno allenato e affinato intorno alla propria persona, e spesso dotate di un livello di intelligenza alto, le rendono agli occhi di chi in tali posizioni le deve affermare dei candidati ideali per le posizioni c.d. di comando. Esattamente le posizioni in cui possono soddisfare il loro bisogno di prestigio, successo, potere, con effetti devastanti nel momento in cui, ben presto, queste forti spinte al potere portano la persona a manifestare stili gestionali corrosivi, anche delinquenziali.
Cosa accade all'interno dell'organizzazione?
Un dispersione di tempo ed energie che dovrebbero essere investite nella valorizzazione di ogni singolo individuo, per il raggiungimento degli obiettivi aziendali nel rispetto della persona, a favore del soddisfacimento dei bisogni narcisistici del leader. Come, per esempio, manipolare soggetti interni ed esterni all'organizzazione per mantenere lo status organizzativo e continuare l'ascesa al potere. Gli adepti fiancheggiano il leader nella speranza di trarne qualche vantaggio, e si innesca una spirale di competitività distruttiva, contraddistinta da comportamenti scorretti dove i non alleati, colpevoli solo di difendere loro stessi, la propria autonomia, autostima, professionalità, per portare a termine i propri compiti e mantenere solidi e funzionanti i sistemi aziendali vengono letteralmente annientati, sperimentando le emozioni peggiori sul luogo di lavoro e subendo le prassi più sadiche. Un contesto che ben presto diviene privo di fattore umano, senso etico, considerazione personale.
Il costo globale della presenza del leader narcisista è null'altro che la patologizzazione del luogo di lavoro, così come avviene per tutti gli altri stili di leadership distruttivi e tossici.
Ora, possiamo tornare a riflettere sulla personalità del leader narcisista, che assume appieno i connotati del bullo organizzativo, che lavora di fino, nell'ombra, che dentro di sè è null'altro che una persona:
- insicura
- instabile emotivamente
- tendente alla manipolazione
- che nega la realtà falsificando fatti reali e creandone di irreali facendoli credere veri, con l'arte della persuasione
- ammiratrice della tirannia
- bisognosa di esercitare autorità, e non autorevolezza
In tema di autorità, McGregor (1960), studioso di sistemi organizzativi, individuò ben presto queste forme di autoritarismo nei contesti lavorativi e li definì come l'insieme del potere di comando basato sulla forza, secondo una forma molto antiquata e ancorata di controllo.
Nel quadro di questa bully personality l'ambiente di lavoro diviene una miscela tossica di agiti dove la deumanizzazione si accompagna a misoginia, razzismo, e bisogno di scaricare la propria aggressività sui più deboli, che sperimentano sentimenti di impotenza e timore.
Un quadro allarmante, non fosse che nelle organizzazioni orientate ad accrescere il proprio prestigio, fatturato, in un contesto globale sempre più competitivo, se tale leader raggiunge il risultato atteso permane nella propria posizione indisturbato, anche se il sacrificio umano di coloro che ne subiscono le azioni quotidiane è altissimo.
Perchè, ancora oggi, con una sguardo sempre più teso all'etica professionale, alla valorizzazione del fattore umano, nella realtà dei fatti sembra che questi fenomeni si stiano invece sempre più palesando?
Purtroppo la prassi della demeritocrazia fa sì che nelle organizzazioni tali figure permangano nonostante il loro agire destabilizzante, in grado di provocare direttamente e consapevolmente grande sofferenza individuale e sociale. E per una cultura solo apparentemente orientata al benessere della persona, nonostante vi sia una legge specifica (81\2008) che ne tutela anche il benessere psicofisico. In realtà, si tessono le lodi di questi manager valutandone solo l'apparente sicurezza, la capacità di visione, normalizzando che al leader sia concesso il famoso "genio e sregolatezza".
Ma un leader palesemente malato, non può che apparire perfettamente adeguato, se l'ambiente in cui è inserito è patologico e tossico? Una spirale che si autoalimenta.
Vi lasciamo con gli esiti di uno studio, seppur datato ma particolarmente interessante. Nel 1943 Murray studiò la personalità di Adolf Hitler e denominò narcisismo da contrattacco una tipologia particolare di leader che caratterizza i soggetti che ritengono di aver subito un'offesa o un danno (in una miscela tra realtà e fantasia). Le componenti principali di questa forma di autorità narcisistica erano: incapacità di tollerare le critiche, volontà di autoaffermazione, desiderio di vendetta, necessità di biasimare, vittimizzare e banalizzare gli altri, motivazione all'ottenimento di prestigio, fama, eccessiva fiducia in se stesso e assoluta mancanza di orientamento alla gratitudine e al riconoscimento delle abilità altrui.
Per i lavoratori e le lavoratrici che vivono in questi contesti professionali, è importante parlarne apertamente con la Direzione Risorse Umane o con il Datore di Lavoro, più precoce è l'intervento e migliore è la possibilità di non sperimentare su di sè sentimenti di impotenza, sopraffazione e angoscia che possono portare a gravi forme di burnout.