Lavoro & co: la subdola arte di mettere in difficoltà le persone

Pubblicato il 6 gennaio 2025 alle ore 19:54

Non è un caso se, nel recente periodo, dopo un evento di grande impatto individuale e sociale come una pandemia, sia emerso il mondo oscuro che si cela all'interno delle aziende da cui, in molti, scappano alla ricerca di un miglior benessere

Sono finalmente emersi, grazie anche alla facilità di lettura e comunicazione dei social, molti fenomeni che accadono intorno a quelle scrivanie, una complessità di situazioni fatte di sopraffazione, brutalità, aggressioni. Situazioni che, forse, venivano prima normalizzate e che si sono poi palesate nella loro realtà, e con il loro nome: violenze sul lavoro, gravi e dannose, per coloro che le subiscono. 

Puntare sempre e tutto sulle varie sfaccettature di mobbing, stalking, burnout, è oramai riduttivo. 

Lo spunto di riflessione di oggi abbraccia un fattore più ampio, direi quasi le fondamenta, le basi di molte forme di aggressività distruttiva sul lavoro: "l'arte, subdola, di mettere in difficoltà le persone e accanirsi contro di esse". 

In letteratura, sono descritte come CWB, comportamento controproduttivo, fatto di un corollario di azioni e parole che creano tanto danno alle persone quanto alle organizzazioni: ritorsioni, vendette, abusi emotivi, pressioni relazionali. 

E no, non è normale inciviltà agita nel luogo di lavoro

E sì, le organizzazioni possono (con o senza consapevolezza) incentivare tali comportamenti abrasivi, oppressivi, o semplicemente non fare nulla per contrastarli. 

Lo schema è sovente il medesimo: vi è uno squilibrio fra le parti in causa, e qui emergono le "figure della perversione": gli aggressori, ciascuno con la propria modalità di ricerca della vittima e di volontà di sopraffazione, contraddistinte tutte da caratterizzazioni quali intemperanza, prepotenza, atteggiamento predatorio, desiderio di prevaricazione, machismo aggressivo. 

Quelli definiti come hate-crime (reati motivati da ostilità per motivi religiosi, razziali, di genere e disabilità) da parte dei c.d. bulli organizzativi stanno aumentando con l'ingresso nel mondo del lavoro, sempre maggiore, di soggetti di etnie, religioni, orientamenti sessuali, "diversi": viene purtroppo facile prendere a preda l'estraneo, l'altro da sè, il diverso. 

Quali sono, dunque, i comportamenti abrasivi e offensivi della dignità della persona? Identificarli non è semplice, perchè li abbiamo per troppo tempo normalizzati: battute sessiste, discriminatorie, crudeltà morale e oltraggio alla persona che, usando alcuni inglesismi, prendono il nome di: 

  • catcalling (insieme di comportamenti sessisti messi in atto in qualsiasi luogo della vita quotidiana: fischi, suono del clacson, battute sull'abbigliamento, apprezzamenti sull'aspetto fisico, schiamazzi, applausi, inseguimenti: molestie verbali agite "in strada" subite quasi sempre dalle donne)
  • victim blaming and shaming (colpevolizzazione della vittima: ciò accade perchè incolpare le vittime per la situazione in cui si trovano è un modo semplice per affrontare situazioni complesse, permettendo di ignorare il reale problema, in quanto è responsabilità della vittima trovare il modo di risolverlo o conviverci)
  • body shaming (derisione del corpo: atto di deridere o discriminare una persona per il suo aspetto fisico). 

Ancora: violenze per eccesso di contatto o per assenza di contatto (nel caso di capi o colleghi freddi, distaccati, autoritari, impersonali). 

Ecco un elenco esemplificativo del "kit di sopravvivenza" del bullo organizzativo:

  • non ammettere mai errori, momenti di debolezza
  • non lasciare spazio a dubbi o alternative risolutive del problema
  • non riconoscere mai qualcosa di positivo nella vittima
  • non accettare colpe, responsabilità, ma proiettarle e ribaltarle costantemente sugli altri\altro
  • prendere di mira un soggetto alla volta o un gruppo alla volta, fino all'annientamento
  • rendere la vittima totalmente colpevole di ogni cosa che non va bene o crea intralcio 
  • convincersi che una grande bugia convincerà molto meglio dei piccoli inganni
  • mettere sempre in pratica la regola della persuasione: ripetere con convinzione l'idea, irrealistica, o palesemente falsa, che si vuole far passare. Sistema noto ai dittatori: insistendo, la maggior parte delle persone finirà per crederci

Le violenze si perpetrano lungo l'asse di una dinamica ben delineata, che possiamo definire una "triripartizione":

  1. non devi accorgerti
  2. non devi accorgerti di ciò che sto facendo
  3. non devi accorgerti di ciò che ti sto facendo fare

Ciò accade perchè vi è la volontà di creare meccanismi di copertura, anonimizzazione, che obbligano la vittima a non rendersi conto di ciò che sta accadendo dissimulando egli stesso le proprie reazioni emotive difensive o colludendo con l'aggressore. 

Dal punto di vista lavorativo, la deumanizzazione organizzativa è servita: le persone tendono a ritirarsi dal lavoro, alla ricerca di autoprotezione, salvaguardia, incalzate da soggetti dispotici, invasivi, umilianti che drenano risorse mentali, fisiche, emotive. 

Un abbandono silenzioso (quiet quitting) indotto proprio da condizioni dis-umanizzanti.

Il cerchio della violenza si è chiuso: gli aggressori possono insistere nella loro condotta dando alla vittima la colpa del rallentamento dei processi o delle imperfezioni dei risultati ottenuti al lavoro. Con la colpevolizzazione della persona "violentata" il processo di disumanità è completo, tutto nelle mani dell'aggressore, dell'inciviltà dei picchiatori morali.

Il tutto, nella consapevolezza che situazioni del genere recano danno alla persona che ne è vittima e all'efficacia ed efficienza del lavoro.