
Nelle vite organizzative il fenomeno del mobbing non segue mai un percorso comune e lineare, anche se trova definizioni e categorizzazioni ben specifiche della psicopatologia del lavoro. Nella scena del crimine troviamo diversi attori a complicare una situazione già di per sè complessa come il mobbing, come la presenza e/o l'intervento di altre persone sia a difesa della vittima sia in inconsapevole o consapevole e malvagia collaborazione con l'aggressore.
In questo articolo, ci concentriamo sul mobbizzato.
Chi è la vittima preferita dei mobber?
La letteratura scientifica ha individuato cinque elementi che contraddistinguono (in tutto o in parte) le vittime di mobbing:
- sensibilità e vulnerabilità al parere critico altrui, alla valutazione e al giudizio sociale
- scarsa adattabilità a situazioni nuove e/o turbolente, tendenzialmente rigide o bloccate a livello comportamentale
- debolezza nella gestione dei conflitti interpersonali, scarse risorse personali di difesa di se stesse e tendente passività nelle risposte ai comportamenti ostili
- facili prede alla frustrazione, lavorativa e sociale, con la tendenza a vivere momenti di forte ansietà e inquietudine in situazioni nelle quali non si trova del tutto a suo agio
- bloccate e limitate nell'espressione della propria aggressività, inibita, spostata contro di sè o verso altre situazioni, manifestando una essenziale incapacità di gestire l'eventuale comportamento aggressivo degli interlocutori
Quando, in azienda, queste persone sono esposte a comportamenti ostili faticano a mantenere il controllo sia della situazione sia di se stesse, rimangono bloccate, non riescono a pensare nè a impostare una strategia razionale di risposta e difesa, vivendo in un loop di momenti di totale passività alternati a sfoghi fuori controllo.
Vediamo ora le tipologie del perfetto mobbizzato, la letteratura ne classifica quattro:
- il newcomer: si tratta dei neoassunti, spesso inseriti in contesti competitivi fra colleghi e colleghe di maggiore esperienza e anzianità aziendale, o le persone che si sono trasferite da poco e vestono i panni dunque dell'ultimo arrivato, guardato con sospetto e a vista
- il soggetto che vive una situazione di solitudine o isolamento: nell'ambiente professionale diversi motivi possono portare le persone che hanno una data tipologia di ruolo a vivere isolati dal contesto lavorativo. Ne sono un esempio avere un ruolo specifico e unico in azienda, avere competenze professionali specifiche e non interscambiabili con colleghi, avere ricevuto un mandato specifico che vada in direzione opposta rispetto a quella del team o coltivare una cultura del lavoro diversa rispetto a quella del team. Ciò detto oltre ad altre variabili quali età, genere, titolo di studio, condizione economica, etc...
- la persona percepita come diversa: ovvero, quella che ha modi di dire, fare, comunicare, vestire, ritenuti inadeguati perchè non conformi con quelli del team. La paura del "diverso" è spesso motivo in grado di scatenare aggressività
- il soggetto motivato: siamo dinanzi a persone competenti, desiderose di lavorare bene e conseguire risultati brillanti, di fare carriera, inseriti in un ambiente piatto, demotivato, dove vige la regola del fare poco e non contribuire attivamente alla vita e al successo dell'impresa.
Il ruolo degli spettatori
Gli spettatori sono tutte le persone che assistono a ciò che accade ma non intervengono, non fanno nulla, non si espongono, scegliendo di non agire. Una presenza silente, ma che nel suo silenzio comunica in realtà molto sulla scena del mobbing. Gli spettatori sono contraddistinti da apparente indifferenza, dalla mancata volontà di prendere posizione. Nel loro mantenersi estranei ed esterni ai fatti, come se non esistessero, in realtà lanciano segnali molto importanti al mobber, a conferma della sua forza e del suo diritto di agire nel modo in cui sta agendo. Da spettatori, possiamo ora classificarli come alleati del mobber, anche se in modo inconsapevole, screditando con il loro immobilismo il diritto di difesa e ribellione della vittima. Eppure spesso, sono invece al contrario consapevoli e sensibili alle ragioni della vittima, ma tengono la propria opinione per sè, di fatto ponendosi in una zona di sicurezza professionale, sotto le ali del mobber, dando enfasi alle zone d'ombra che possono essere presenti nella vittima, enfatizzandole, e allo steso modo enfatizzare le zone bianche in cui in qualche modo l'aggressore può avere ragione.
Gli spettatori sono molto più che spettatori: l'abilità del mobber è manipolarli, persuaderli sapientemente al fine di propendere dalla loro parte mettendo la vittima in condizione di sentirsi sola, debole.
L'ipotesi criminologica nella determinazione del mobbing
Sono gli autori Corradini e Picci (2003) a proporre uno schema di attuazione del mobbing in analogia con la sequenza aggressore-azione e criminale-vittima: la sequenza mobber-azione è finalizzata alla distruzione professionale, psicologica e relazionale dell'individuo mobbizzato.
Le forme di aggressività distruttiva nei luoghi di lavoro si manifestano in tutta la loro violenza in modo particolare nei giovani neoassunti, ma esistono anche forme di mobbing verticale inverso, dove un superiore più "anziano" può non riuscire a tenere il passo con tempi e ritmi oppure una figura femminile, sempre di importante anzianità aziendale, che viene costretta a farsi andare bene impegni lavorativi sminuenti della professionalità maturata.